DANNO DA NASCITA INDESIDERATA E RISARCIMENTO In presenza di colpa o negligenza del medico di base, in relazione alla prescrizione di un farmaco contraccettivo, si ha diritto al risarcimento da “nascita indesiderata” . Nell’ipotesi in cui, una coppia di genitori si rivolga a un medico per evitare una futura gravidanza, e questi, gli prescriva un farmaco non utile in tal senso, oppure, non li informi adeguatamente, questi hanno diritto al risarcimento del danno. IL CASO La coppia citava dinanzi al Tribunale di Milano il loro medico di base, per danni da nascita indesiderata, poiché quest’ultimo gli aveva prescritto un farmaco non idoneo alla contraccezione, quando loro, avevano chiaramente manifestato l’intenzione di non voler avere, almeno in quel periodo della loro vita, figli. Avendo avuto, proprio in virtù dell’errore del medico, un bambino, hanno chiesto il mantenimento del minore. Il dottore convenuto chiamava in garanzia la sua Compagnia assicuratrice e, il Tribunale, rigettava la domanda di manleva del convenuto nei confronti della compagnia con la sentenza di primo grado. Il dottore proponeva successivamente appello, cui le controparti resistevano; la Corte d'appello di Milano, lo rigettava. Ha proposto ricorso per cassazione, che ha cassato la sentenza della Corte di Appello, per i motivi che di seguito esporremo. MANLEVA DELLA COMPAGNIA DI ASSICURAZIONE Il Medico aveva invocato l'applicazione del contratto di assicurazione stipulato, chiedendo la condanna della Compagnia. Va specificato, al riguardo, che l’art. 10 della legge 24/2017 (Legge Gelli-Bianco) disciplina l’obbligo di assicurazione del comparto sanitario. Secondo tale legge chiunque svolga una professione sanitaria ed opera in una struttura deve dotarsi di una polizza. Nel caso si operi in una struttura pubblica prevede la copertura della sola colpa grave, se lo studio è privato la copertura deve essere per colpa lieve e grave. LA PROVA L’onere della prova, per giurisprudenza costante, spetta alla futura madre, o ai futuri genitori, i quali, devono dimostrare che, se informati, o adeguatamente assistiti, non avrebbero avuto il figlio (al riguardo è sufficiente fornire degli elementi probatori come, ad esempio, aver effettuato nei mesi antecedenti la nascita un semplice consulto medico). Nel caso in esame, la Compagnia e il medico, non hanno contestato quanto e-sposto dai genitori, ed hanno riconosciuto che la prescrizione medica fu effettuata nell'ambito dell'attività professionale del medico di base, ammettendo, implicitamente, l’errore del dottore nel prescrivere un farmaco che non era idoneo alla contraccezione. L’INTERPRETAZIONE DEL CONTRATTO STIPULATO CON L’ASSICURAZIONE Sia il Giudice di primo grado, che quello di secondo, rigettavano la richiesta di manleva effettuata dal medico, poiché da una lettura “letterale” del contratto stipulato con la Compagnia, l’ipotesi in questione esulerebbe dell'oggetto dell'assicurazione. I Giudici della Suprema Corte, invece, hanno cassato la sentenza della Corte di Appello, poiché la Compagnia pubblicizzava tale polizza nel senso che il medico con essa “assicura” il rischio del risarcimento del danno per errore o omissione che potrebbe commettere nell'esercizio della sua professione, e che quindi tale contratto deve essere “contestualizzato”, stabilendo il principio secondo cui “la buona fede viene individuata, superando l'interpretazione cavillosa che si circoscrive alla lettera…e il giudice è sempre obbligato (in queste ipotesi) dall'art. 1366 c.c. a interpretare il contratto secondo buona fede”. In breve, quando si chiede il danno da “nascita indesiderata” si deve provare l’errore del medico e la volontà di non voler avere figli. Il medico una volta citato in giudizio, stante l’obbligo di assicurazione, chiamerà in garanzia la propria Compagnia la quale, deve coprire il danno per “errore o omissione” che lo stesso, commette nell'esercizio della sua professione, al di là del tenore letterale del contratto stipulato tra dottore e la Società di assicurazione, il quale deve essere contestualizzato e interpretato secondo “la concreta intenzione delle parti” e secondo i criteri dell'art. 1362 c.c. e 1366 c.c.
ESTRATTO DI RUOLO - IMPUGNABILITA’ E OBBLIGO DI PRONUNCIA DEL GIUDICE L’impugnazione dell’estratto di ruolo, la natura dello stesso e l’obbligo del giudice di pronunciarsi sulla eccezione di prescrizione. Vi è stato un dibattito in dottrina ed in giurisprudenza sull’impugnabilità dell’estratto di ruolo, sulla sua “natura”, e sulla differenza tra impugnazione (dello stesso) davanti al Giudice Ordinario e davanti al Giudice Tributario. La Corte di cassazione con alcune sentenze chiarisce tutti i dubbi a riguardo e stabilisce il principio dell’obbligo di pronuncia in alcuni casi... COSA E’ L’ESTRATTO DI RUOLO L’estratto di ruolo è un documento cartaceo che rilascia l’agenzia delle Entrate-Riscossione su richiesta del contribuente allo sportello. Quest’ultimo rappresenta in maniera analitica il “debito” e, più precisamente, le cartelle di pagamento che l’Ente di Riscossione vanta nei confronti del debitore. Tramite lo stesso il contribuente può sapere quanto deve per il “tributo”, quanto deve per “interessi”, quanto per “sanzioni” e quanto per le spese di notifica e di esecuzione; può inoltre sapere se gli è stata notificata o non la cartella, l’oggetto delle stesse (ad es. debiti per contributi, multe ecc…), se è stata chiesta la rateizzazione, e se è stato iscritto il fermo amministrativo oppure un pignoramento. È IMPUGNABILE? Non si può fare ricorso avverso l’estratto di ruolo direttamente, ma solo avverso le cartelle in esso rappresentate, ed in ogni caso si può impugnare lo stesso qualora le cartelle: - non vi siano mai state notificate; - siano state notificate a un altro indirizzo e, in ogni caso in maniera errata; - i debiti in esse contenuto sono prescritti; - l’ente di riscossione è decaduto dalla notifica; - è stato iscritto il fermo amministrativo all’insaputa del contribuente senza alcuna notifica di atti antecedenti. DIFFERENZA TRA IMPUGNAZIONE DELLO STESSO DAVANTI AL GIUDICE TRIBUTARIO O DAVANTI AL GIUDICE ORDINARIO Il S.C. con diverse sentenze chiarificatrici (tra cui Cass. Civ. n. 1302 ,19.1.2018; Cass. Civ. n. 15741 del 13.12.2001), specifica le differenze tra impugnazione di fronte al Giudice Tributario e impugnazione di fronte al Giudice Ordinario. Bisogna segnalare infatti che, di fronte al Giudice Tributario (Commissione Tributaria Provinciale ndr.) l’estratto è impugnabile solo qualora “la cartella non sia stata (validamente) notificata ed il contribuente ne sia venuto a conoscenza attraverso l’estratto di ruolo rilasciato su sua richiesta dal Concessionario della Riscossione” (Cass. Civ. n. 1302 ,19.1.2018; Cass. n. 22946 del 10.11.2016; Cass. SS.UU. n. 19704 del 2.10.2015). Invece, di fronte al Giudice Ordinario, l’opposizione avverso l’estratto di ruolo, ai sensi dell’art. 615 c.p.c. è possibile in ogni caso, senza limiti di tempo, davanti al Giudice competente (a seconda dell’oggetto della cartella di pagamento, es. contributi INPS dinanzi al G.O. del Lavoro) (Cass. n. 9180 del 20.4.2006), quando si contesti il diritto ad “eseguire” per la sussistenza di fatti sopravvenuti alla formazione del titolo che estinguono l’obbligazione di pagamento. In questo caso, infatti, a parere del S.C.: “prima dell’inizio del procedimento esecutivo, qualora si contesti ed eccepisce il diritto dell’Agente della Riscossione a procedere ad esecuzione forzata per la sussistenza di fatti impeditivi o meglio estintivi del titolo esecutivo e quindi della pretesa azionata, l’impugnazione dell’estratto di ruolo è correttamente qualificata in quella di cui all’art. 615, comma 1, c.p.c.” (Cass. Civ. n. 15741 del 13.12.2001; Cass. n. 10711 del 3.08.2001; Cass. n. 3450 del 9.3.2001). OBBLIGO DI PRONUNCIA SULLA ECCEZIONE DI INTERVENUTA PRESCRIZIONE La Corte di Cassazione con le sentenze n. 29174 e n. 29179 del 6.12.2017, ha ribadito il principio per il quale il giudice, deve comunque esprimersi sulla eccezione di intervenuta prescrizione delle cartelle di pagamento, seppure queste siano state ritualmente notificate; l’iter logico-argomentativo dei Giudici parte dalla mancata conversione del termine di prescrizione da quello breve in quello ordinario decennale nel caso di notifica della cartella di pagamento o dell’avviso di addebito perché differenti dal titolo giudiziale, e arriva all’obbligo, per il giudice, di valutare l’eccezione di prescrizione sollevata, maturata dopo la notifica della cartella stessa. In breve, il c.d. “estratto di ruolo” è un documento cartaceo che rilascia l’Agenzia delle Entrate che descrive il debito del contribuente. Alla luce delle recenti sentenze della Corte di Cassazione, e dei precedenti in esse richiamati, in caso di impugnazione dell’estratto di ruolo davanti al Giudice Ordinario, quest’ultimo deve comunque pronunciarsi sull’eccezione di prescrizione, eventualmente sollevata dalle parti. Dinanzi al Giudice Tributario (Commissione Tributaria) rileva invece, sempre in caso di impugnazione della cartella tramite “estratto di ruolo”, l’intervenuta notifica della cartella stessa.